In una giornata di Dicembre siamo andati a trovare Elisa Ciambelli, ideatrice, direttrice e imprenditrice dell’Azienda Agricola il Gobbo, a Segromigno vicino Capannori, in Provincia di Lucca.
Siamo stati accolti da Elisa e Dorotea, la splendida maialina di cinta senese, compagna di passeggiate e avventure per i boschi sopra Segromigno. Cari lettori avete letto bene. La maialina è veramente una compagna di passeggiate. Infatti Dorotea non sarà mai, come avrebbe amato dire Hannibal Lecter, un amica per cena!
All’azienda Agricola, a caratteri cubitali, si trova scritto il suo nome sulla stalla. Elisa l’ha salvata dal triste destino di molti suoi fratellini, dopo averla notata, tra tanti, per il suo incedere storto e insicuro. Adesso è la regina dei trovatelli che popolano la fattoria. Una pecora, un cavallo, oche, galline e altri volatili. Si potrebbe quasi dire che buona parte della storia che vi stiamo raccontando sia frutto della brillantezza di Dorotea. Infatti durante una delle sue passeggiate per i boschi, a caccia di ghiande, fece balenare nei pensieri della sua salvatrice un’idea: la farina di ghiande!
La nostra produttrice però non è una che si improvvisa. La sua storia personale racconta di una ragazza con studi in filosofia, la partecipazione al progetto Erasmus e un master a Parigi, ma poi la vita la riporta casa, a Lucca. Qui inizia a studiare il mestiere della coltivazione della terra e si confronta con altri agricoltori. Quando balena in lei l’idea della farina di ghiande inizia a fare ricerche. Dopotutto al super, ma anche nei negozi specializzati, troviamo farine di tutti i tipi: di grani antichi e moderni, di castagne, di ceci, di piselli, di lenticchie, perfino di pomodoro, ma di ghiande no! Eppure per secoli gli Indiani d’America l’hanno prodotta. In Spagna e in Portogallo è possibile trovarla e perfino in alcune zone della Sardegna in passato l’hanno usata. Dopo aver interrogato niente di meno che l’Accademia dei Georgofili, riesce a sapere che veniva usata come alimentazione dai mezzadri in epoche antiche. A quel punto decide. Parte con la produzione.
Raccoglie tutto completamente a mano. Una ghianda alla volta. Forse sembra una follia nell’anno di grazia 2019 ed è anche vero che all’interno dell’azienda ci sono alcune querce, ma la realtà dei fatti, che dobbiamo raccontarvi oggi, è che quelle da sole non sono sufficienti a garantire l’intera produzione. Comunque non datevi troppo pensiero e non affaticate il criceto sulla ruota nella vostra testolina, perché il resto delle ghiande provengono comunque dal circondario, insomma a pochi passi dalla nostra beneamata maialina. Le abbiamo chiesto (ad Elisa ovviamente!), se andasse a raccoglierle con Dorotea, ma ovviamente lei non è una buona raccoglitrice… preferisce la consumazione a km 0. Così spesso la raccolta diventa un’operazione di famiglia, ma sovente rimane un’esperienza da fare in solitudine. Quercia, ghianda, cestello: 1. Quercia, ghianda, cestello: 2. Quercia, ghianda, cestello: 3… e così via fino a sera.
Dopo la raccolta le ghiande vanno lavate per dieci giorni in bagno d’acqua, poi tostate in forno, a temperatura controllata, per un’ora e quindi sbucciate con un apposito macchinario, ma all’Azienda Agricola Il Gobbo preferiscono farlo a mano, una per una.
La sbucciatura a mano è un lavoro lungo e ripetitivo e un macchinario potrebbe accorciarlo, ma in nessuna campagna si odrebbe più il suono dei semi che cadono sul cumulo di semi già sgusciati (chock, chock, ciack…) o sbattono sul bordo del contenitore metallico (deng!).
Dopo la sbucciatura l’aspetto del prodotto è quello di un seme invitante, dal sapore simile a quello della castagna secca. Elisa procede quindi alla macinazione dei semi, manco a dirlo, direttamente in azienda e ne ottiene una farina con ottime proprietà nutrizionali, senza glutine e ricca di vitamine e sali minerali. Nel primo anno di produzione, ha avviato una raccolta sperimentale di circa 100 kg di ghiande, con una resa in farina del 50%. Con l’aggiunta di un 40% di farina di grani antichi Verna della Valtiberina, produce degli ottimi biscotti con cui sta portando in giro la cultura delle ghiande.
Grazie alla collaborazione con Damiano Donati ha sperimentato la produzione del pane di ghiande e con Bonci la produzione dell pizza. Anche l’acqua dei bagni di sciacquatura sta entrando in alcuni progetti esplorativi grazie alla presenza di polifenoli e alle proprietà naturalmente antimicrobiche. Insomma non si sta con le mani in mano se si vuole portare all’attenzione del grande pubblico un innovativo antico prodotto.
L’articolo volge al termine, ma dobbiamo ancora raccontarvi un paio di cose. L’azienda agricola non è solo ghiande e querce, ma è molto altro. Con circa 3 ettari di terreno, si riesce a ricavare o raccogliere prodotti tutti certificati biologici. Elisa infatti coltiva, direttamente, e pressoché da sola, i carciofi, con cui vengono prodotti ottimi sughi, le barbabietole, che danno l’anima al suo chutney, gli olivi, con cui produce un buon olio, anche aromatizzato (con peperoncino e/o finocchio selvatico). Alleva le api con cui produce il miele, di acacia e mille fiori e per la raccolta del 2019 ha in programma la produzione di grano nano di Verni.
Non vi resta che recarvi presso l’azienda per conoscere l’ideatrice di tutto questo, la maialina Dorotea, e la sua simpatica e caparbia amica Elisa Ciambelli.
Azienda Agricola “Il Gobbo”
Via Segromigno in Monte, 7, 55012 Capannori LU
Provincia: Provincia di Lucca
Telefono: 0583 929294
https://www.casailgobbo.com/azienda-agricola/
So che gli indiani d’america le mettevano in contenitori a rete fermati con una pietra nel fiume corrente per eliminare i tannini. Io non ho mai provato a farla. Sarebbe utile avere delle varietà di ghiande dolci prive di tannini. Queste sarebbero di pronto utilizzo: si potrebbero sgusciare, far seccare al sole e poi pestare direttamente in un mortaio per produrre farina. Probabilmente le si può conservare anche secche e pestarne piccole quantità ogni volta che serve, come faccio io con le fave e il mais. Effettivamente è un frutto molto nutriente, io ho provato a mangiarle cotte dopo aver buttato più volte l’acqua di cottura e averle fatte ribollire per eliminare il sapore tannico e confermo che saziano molto.
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